“Le regioni settentrionali, quanto più sono lontane dagli ardori del sole e quindi di clima rigido, tanto più risultano salubri e propizie alla procreazione; al contrario le terre meridionali più sono assolate, più abbondano di malattie ed hanno bassa natalità.. Da ciò deriva che assai grande è il numero dei popoli che hanno origine dalle terre che sono sotto il polo dell’Orsa; e così è giustamente per quell’immensa regione che va dal Don fino a Occidente, la quale, benché ogni luogo vi abbia un proprio nome, tuttavia con un termine comune è chiamata Germania. I Romani, che occuparono due province al di là del
Reno, le distinsero con i nomi di Germania inferiore e Germania superiore. Da questa popolosissima terra furono spesso tratte grandi moltitudini di prigionieri, venduti per danaro fra i popoli meridionali. Ma in essa vive un gran numero di uomini che a malapena si possono nutrire e così, molti popoli, se ne uscirono e andarono a infestare regioni dell’Asia e soprattutto dell’Europa, loro vicina. Testimoniano ciò, dovunque, le città distrutte per tutto l’Illirico e la Gallia; ma soprattutto lo testimonia la misera Italia, che sperimentò la crudeltà di pressoché tutti quei popoli.
La stirpe dei Winili, ovvero dei Longobardi, proviene dalla Scandinavia. La popolazione di quest’isola era così numerosa che ormai non poteva più abitarvi tutta. Si divise perciò in tre gruppi e, come si narra, si fece decidere alla sorte quale dei tre dovesse abbandonare la patria e cercare di conquistarsi una nuova terra.
Quelli cui la sorte assegnò di abbandonare il suolo natio e di cercarsi dimora in terra straniera, datisi due capi, Ibor e Aione, che erano fratelli, in età ancora giovanile e più gagliardi degli altri, dopo aver salutato insieme la patria, presero il cammino per cercare un luogo dove fermarsi e stabilirvi la propria sede. Con essi era Gambara, madre dei due condottieri, donna di ingegno acuto e provvida consigliera”.Così inizia la “Storia dei Longobardi” di Paolo Diacono.

In essa vengono narrate le vicende del popolo Longobardo fino al 744. Della disfatta del Regno non viene fatta menzione perché Paolo, “come è costume di ogni storiografo, soprattutto se parla della sua stirpe, espone soltanto ciò che sa che può servire ad accrescerne la gloria”, come osservò il Muratori, il cui pensiero è senz'altro condivisibile, ma del tutto fuori luogo nel riferimento a Paolo Diacono, che non
Adelchi: la storia infinita

Adelchi è un nobile cuore che anela al bene e alla giustizia, desideroso di combattere e di sacrificarsi per questo ideale nella lotta generosa contro ogni forma di male. Ma a lui rimane precluso e incomprensibile che la vita non è primariamente lotta del bene col male, ma lotta d'interessi vitali, che sono di qua dal bene e dal male e nei quali ciascuno si trova direttamente e personalmente impegnato nella situazione in cui la natura e la storia lo hanno posto.(...)
Si combatte per la famiglia, per la patria, per il partito al quale per tradizione o per adesione si appartiene e che non si vuole abbandonare; o anche rinunziando alla famiglia per la patria, alla patria naturale per una patria adottiva, al partito di prima per un altro diverso ed opposto. Ma sottrarsi a questa determinatezza storica del dovere sarebbe, peggio ancora che viltà, follia, e praticamente è impossibile.(...)
Non è vero dunque che egli (Adelchi, n.d.r.) non partecipi all'azione, chè anzi partecipa ad ogni momento di essa, fin alla morte in combattimento.
Ma in altro senso non vi partecipa: egli "obbedisce biasimando" come è detto nella tragedia; obbedisce col braccio e non con l'anima. Nel suo animo è tristezza e desolazione e dolore per quel che fa e che pur sente il dovere di fare, ma che di continuo l'offende. L'offende la politica, di cui il padre conosce e accetta la necessi
tà, e il dissimulare e il far buon viso agli infidi e traditori; non intende come si possa, nel combattere, guardarsi "dall'uom che ti combatte al fianco". Gli sembra assurdo che il Cielo possa aver dato la vita dei migliori all'arbitrio dei rei, e pensa in qualche istante che ciò non sia vero, e che non è in mano di costoro "ogni speranza inaridir, dal mondo torre ogni gioia".
Ma prevale sempre in lui la sfiducia e la disperazione.
(Benedetto Croce, Il sentire di Adelchi)

è uno storico, considerati gli "scempi" perpetrati da quelli veri, a partire da Livio e Polibio fino ai tempi attuali. Siamo intorno al 150 A.C. e il gruppo capeggiato dai due condottieri approda nel territorio chiamato Skoringa, che vuol dire Terra sulla Riva, corrispondente pressappoco al basso bacino del fiume Elba. Ancora oggi, taluni toponimi in quest’area a sud di Amburgo, Bardowick, nei pressi di Lüneburg o il Bardengau, ad esempio, ricordano questi antichi abitatori.
Chi volesse approfondire le vicende storiche dell’epopea longobarda ha solo l’imbarazzo della scelta tra siti web e autorevoli testi, tra i quali mi piace ricordare “Il Regno Longobardo d’Italia”, di Jurgen Mish. Nelle varie migrazioni, in Boemia, In Pannonia e poi In Italia, gli antenati dei Lavorgna (Lawörgna) hanno sofferto, gioito, combattuto, insieme con la loro gente, riuscendo a mantenere intatto nel corso dei secoli quel patronimico formatosi nelle fredde regioni del Nord Europa, nonostante la difficoltà delle tre
consonanti consecutive, atipiche nei cognomi con etimo bizantino o latino.
La storiografia ufficiale offre dati discordanti circa l’arrivo dei Longobardi a Benevento.
Non che sia importante stabilire l’esattezza cronologica; nella ricostruzione delle origini, tuttavia, può risultare gradevole appurare date se non proprio certe, almeno attendibili.
Partiamo, more solito, da Paolo Diacono. Autari diventa Re nel 584, dopo l’interregno dei duchi e Paolo Diacono fa risalire a lui la conquista di Benevento, nel 586. In realtà il Ducato di Benevento fu istituito sotto il Regno di Alboino, nel 571 e ciò rende oltremodo dubbio che il primo Duca fosse Zottone, come sostiene Paolo Diacono. Tra le “fare” sottoposte al dominio troviamo “Telesia”, antica colonia Romana, fondata dai Sanniti con il nome di Tulosiom.
E’ lì che si stabilirono i Lavorgna, dopo tre anni di dure peregrinazioni, sicuramente allettati dall’amenità del luogo, dalla terra fertile e da quel piccolo monte ricco di erbe, dal quale defluivano acque medicamentose. Nel 774 Desiderio, ultimo Re Longobardo, fu travolto dalla volontà dominatrice del potente “genero”, quel Carlo che si apprestava a diventare “Magno” e che asservì alla Francia tutti i territori del regno, con l'esclusione del ducato di Benevento che, rimasto a lungo indipendente, cadde infine sotto la dominazione normanna verso la fine dell’undicesimo secolo. I Lavorgna furono testimoni di tutti questi eventi, perpetuandosi, generazione dopo generazione, nella bella e ridente cittadina sannita. Ci penserà Seodan il Saraceno, nell’864, a scuoterli dalla loro tranquilla vita agreste, inducendoli a trovare rifugio alle falde di un altro monte e consacrando Filippo come capostipite ufficiale della famiglia.
 
 COME NASCE UN COGNOME

Nei tempi arcaici le persone avevano solo un nome, ma già verso il terzo secolo A.C., presso i Romani, era invalso l'uso dei tre nomi, che a volte diventavano quattro o più, in special modo presso le famiglie nobili. L'avvento del Cristianesimo e le invasioni barbariche imposero la necessità di evitare confusione tra troppe persone con lo stesso nome. È in quel periodo che si formano, in modo sostanziale, i cognomi, traendo spunto dalle caratteristiche peculiari di una persona (Es. Forte, Pagano, Cristiano, Bello, Brutto); dal suo status, reale o presunto (Es. Conte, Re, Principe, Nobile, Fabbro, Maniscalco, Poverini); dagli elementi naturali (Cielo, Nebbia, Azzurro); dai luoghi geografici, dalla religione e da qualsivoglia altro elemento che è possibile riscontrare nell'etimologia. Per quanto riguarda il cognome LAVORGNA, la prima osservazione riguarda le tre consonanti consecutive, RGN, che rimandano chiaramente a una matrice nord-europea. La tesi più accreditata è quella che vede i Lavorgna (Lawörgna) discendere dagli antichi Winili (Longobardi), che lasciarono la Scania tra il II e il IV secolo d.C, penetrando lentamente nel cuore dell’Europa. Come noto, poi, i Longobardi, stanziatisi prevalentemente in Pannonia, dove inglobarono elementi etnici di varia origine, non solo germanici, entrarono in Italia al seguito di Re Alboino nel 568. Una tesi molto più suggestiva, invece, è quella che vedrebbe attribuita al cognome LAVORGNA una matrice celtica. L'etimologia riporta a L'ew, stabilizzazione gallese dell'irlandese “Lugh”. Lugh era la massima divinità della religione celtica, che ha dato il nome a tantissimi cognomi e luoghi geografici. Anche i Celti vennero in contatto con i popoli germanici intorno al V° secolo e da li potrebbe essersi verificata quella fusione di genti che poi, comunque, portò i Lavorgna in Italia nel 568.

 

 

Lugh - Dio del Sole
Lugh o Lugos o Llew
( = lo splendente)
oppure
Lugh Lamhfada ( = manolunga)
oppure
Lonnbemnech ( = dai colpi potenti)
oppure
Samildanach ( = il dotatissimo)
oppure in vecchiaia
Lug Chromain ( = piccolo e curvo Lug)
oppure
Lamfada ( = uomo dal lungo braccio oppure grande mano)
poi anglicizzato
in Leprechaun ( = folletto)
(figlio di Cian dei Tuatha De Danaan ed Ethlinn dei Fomori, ma allevato da Manannan e Brigit, che in quanto madre adottiva di Lugh viene definita Taitliu - regina dei Fir Bolg),
(nipote di Balor e di Dian Cecht)
(Padre di Cu Chulainn - avuto con Dechtire

| Home | Guestbook | Meraviglioso Web | Photogallery | Videogallery